Quando noi occidentali dei paesi ad alto reddito, ben nutriti e spesso in sovrappeso, diciamo di avere fame probabilmente intendiamo dire che abbiamo un po’ d’appetito, o voglia di mangiare qualcosa di buono, anche nei momenti in cui in realtà non abbiamo bisogno di cibo. La vera fame è tutt’altra cosa.
Il film Hunger, diretto da Steve McQueen e interpretato da Michael Fassbender nel 2008, mette in scena in modo drammaticamente eloquente la morte per fame di Bobby Sands, primo di dieci prigionieri detenuti “at her Majesty’s pleasure” (cioè a tempo indeterminato) durante il premierato della defunta Dame Margaret Thatcher.
La scelta di Fassbender di digiunare davvero per interpretare il ruolo, e quella di Sands di far ricorso alla secolare tradizione celtica dello sciopero della fame come strumento per scuotere le coscienze anche a costo della propria vita, sono state entrambe volontarie. A milioni di irlandesi, tra il 1845 e il 1849, il digiuno e la fame furono invece imposti.
Il durissimo film di Steve McQueen ripercorre il tragico destino di un uomo che ha compiuto una scelta fatale. Se immaginiamo Sands-Fassbender moltiplicato per milioni di uomini, donne e bambini, potremmo forse farci almeno una pallida idea di cosa è stata la carestia irlandese.
Come una terra distrutta dal terremoto, dopo la Grande Carestia che privò milioni di persone del loro alimento base, le patate, l’Irlanda non fu più la stessa. La geografia, il tessuto sociale, l’economia e la cultura del Paese, per citare W.B. Yeats “changed utterly”: cambiarono completamente. In Irlanda la carestia del 19esimo secolo è nota con l’espressione in lingua locale “An t-Ocras Mór”, cioè la grande fame, che è anche il titolo di uno dei libri più approfonditi e ben documentati sull’argomento, scritto da Cecil Fitzgerald Woodham-Smith nel 1962.
La fame, che provocò la morte di oltre un milione di irlandesi e costrinse all’emigrazione un numero ancora maggiore di loro, non fu la conseguenza di un’azione consapevole – come nel caso di Fassbender e Sands – o addirittura colpevole, anche se diversi commentatori dell’epoca come Sir Charles Trevelyan indicavano “l’indolenza degli irlandesi” quale causa della loro stessa rovina: «Il male contro cui dobbiamo combattere non è quello materiale della Carestia ma quello morale, che appartiene al carattere egoista, perverso e turbolento di questa gente».
La vera causa è invece da ricercare nella congiunzione tra il sistema economico-politico dell’epoca e l’arrivo fortuito della phytophthora infestans proveniente dall’altra parte dell’Atlantico, un parassita comunemente noto come “fungo delle patate” (“the potato blight”) che si diffuse anche in altre zone d’Europa, ma senza i devastanti effetti causati in Irlanda.
Due dei film in programma per l’edizione speciale online IRISH FILM FESTA Silver Stream, parlano proprio della tragedia delle “Prátaí Dubha“, le patate nere.
The Hunger: The Story of the Irish Famine è un documentario di struttura classica nel quale diversi studiosi, sulla base di approfondite ricerche, affrontano l’argomento dal punto di vista storico, politico e culturale. Un film divulgativo, utile per chi desidera saperne di più su “An t-Ocras Mór” e ricavare così una visione più ampia dei fatti. L’aspetto più doloroso della vicenda è che, mentre ampi strati della popolazione irlandese stavano letteralmente morendo di fame o per malattie derivanti dalla malnutrizione, per tutta la durata della carestia il Paese rifornì giornalmente di cibo la vicina Inghilterra.
Arracht (Monster) è invece un film d’autore, recitato in lingua irlandese e realizzato con un budget molto ristretto, che descrive la mostruosità della carestia.
La fame è un mostro: come il tremendo parassita che fa marcire le patate, è una piaga terribile che indebolisce e divora non solo i corpi e le anime, ma anche i rapporti umani, causando spaventosi episodi di violenza. Una devastazione, letale e senza ritorno. Eppure, nonostante tanti orrori, qualcuno riesce a salvarsi, qualcuno guarisce dalle ferite provocate dal mostro.
— Kay McCarthy
musicista e divulgatrice di cultura irlandese