Anni 90, quattro ragazze adolescenti di Derry e il cugino inglese di una di loro, più parenti, insegnanti e compagni di scuola: la sitcom Derry Girls, ideata e scritta dalla nordirlandese Lisa McGee, viene trasmessa originariamente con grande successo da Channel 4 tra il 2018 e il 2019, e poi distribuita in tutto il mondo da Netflix, che da agosto ha reso disponibile anche la seconda stagione.
I dodici episodi – all’IRISH FILM FESTA quest’anno ne abbiamo visti tre, tratti dalla prima stagione – rispettano le regole della sitcom classica (brevi puntate autoconclusive e trama orizzontale ridotta al minimo) ma le aprono anche a una maggiore varietà di luoghi (non solo casa e scuola, che pure restano punti fermi), e affrontano temi tanto universali quanto specifici per riferimenti storici e culturali: McGee, già autrice per la tv pubblica irlandese RTÉ e per la BBC, porta sullo schermo le proprie esperienze di Derry girl, collocandole all’interno di un genere molto codificato, e molto americano, come la teen comedy.
L’umorismo di Derry Girls corrisponde all’atteggiamento con cui i protagonisti vivono il conflitto nordirlandese, che non è mai di disinteresse (le ragazze, per quanto giovani, sono informate e hanno opinioni nette) ma di difesa, una difesa che non si nasconde dietro la rimozione del problema e sceglie invece come arma l’ironia dissacratoria.
Troubles & Cranberries
Tra il 1994 e il 1995 – gli anni in cui vediamo in azione Erin (Saoirse-Monica Jackson) e sua cugina Orla (Louisa Harland), Clare (Nicola Coughlan), Michelle (Jamie-Lee O’Donnel) e il wee English fella James (Dylan Llewellyn) – gli Accordi del Venerdì Santo non sono ancora stati firmati e l’eredità della fase più recente del conflitto (i cosiddetti Contemporary Troubles, più di tremila morti dal 1968 al 1998) in quelle zone continua a essere molto pesante.
Eppure notiamo subito che la vita quotidiana dei personaggi viene influenzata non soltanto da allarmi bomba, posti di blocco e cessate il fuoco, ma anche, se non di più, dalle canzoni che passano in radio, dai programmi televisivi, dai film visti al cinema o in videocassetta.
Il 1994 e il 1995 sono stati infatti anche gli anni del successo dei Cranberries, irlandesi di Limerick guidati dalla voce di Dolores O’Riordan (li riconosciamo in un poster sulle pareti della stanza di Erin e tornano più volte in colonna sonora), gli anni del fenomeno Take That (o This’n’That, come li chiama la madre di Erin nell’episodio in cui le ragazze fanno letteralmente di tutto per assistere al loro concerto a Belfast), gli anni in cui sono usciti al cinema Pulp Fiction di Quentin Tarantino (è da lì che viene il «mothafuckas!» ricorrente di Michelle) e I soliti sospetti di Bryan Singer, film che diventa protagonista nell’episodio 2 della seconda stagione, Ms De Brún and the Child of Prague, uno degli episodi più significativi riguardo al modo in cui la scrittura di Lisa McGee utilizza la cultura popolare di quel periodo.
Carpe diem
L’episodio Ms De Brún and the Child of Prague segue due trame parallele: l’arrivo di una nuova insegnante nella scuola frequentata dalle ragazze, segmento che cita in maniera esplicita – ma non dichiarata – L’attimo fuggente di Peter Weir (1989), e la visione condivisa di I soliti sospetti da parte dei parenti adulti di Erin e Orla.
Se le citazioni presenti in Derry Girls evitano sempre la nostalgia e il sentimentalismo, quella del film di Weir – molto puntuale e in alcune scene quasi letterale – si fa apertamente ironica e critica, perché la retorica made in USA del seguire i propri sogni non può trovare applicazione nella pratica sociale e nel linguaggio della working class nordirlandese.
Quella di McGee e delle sue ragazze è una ribellione alla colonizzazione culturale anglo-americana, che ribalta la prospettiva e restituisce uno sguardo rinnovato, e orgogliosamente parziale, sulla realtà. L’insofferenza con cui Michelle, alla fine dell’episodio, trasforma il carpe diem dell’Attimo fuggente in «carpe dickhead», è la stessa con cui qualche episodio più avanti accoglierà la proposta di un prom, il ballo scolastico di stampo americano, che la petulante (e ricca) coetanea Jenny (Leah O’Rourke) vuole a tema anni 50. Ballo che si concluderà sanguinosamente con la citazione, questa volta riconosciuta e anticipata da James, di un altro celebre film.
Essere degli individui non conformi però non è sempre facile («I don’t want to be an individual on me own», recita una delle prime battute di Clare) e i mezzi di comunicazione di massa ci influenzano anche quando non ce ne rendiamo conto. Non a caso, i primi tentativi poetici di Erin sono inconsciamente copiati da canzoni note: gli amici le smontano subito i versi prelevati dalla sigla della serie Home & Away, ma anche la poesia letta a scuola all’arrivo di Ms De Brún usa la stessa rima (bed/head) della canzone dei Cranberries, I Can’t Be With You, che abbiamo ascoltato pochi minuti prima.
Chi è Keyser Söze?
Siamo immersi nella cultura pop del nostro tempo, ma il modo in cui ne fruiamo ha sempre qualcosa di peculiare. Così, una famiglia nordirlandese che nel 1995 sceglie di entrare al cinema a vedere I soliti sospetti, lo fa innanzitutto perché sulla locandina ha riconosciuto un volto familiare: «It’s got your man in it, the farmer from Glenroe», dice il nonno di Erin e Orla, Joe (Ian McElhinney), alla figlia Mary (Tara Lynne O’Neill), riferendosi alla serie trasmessa da RTÉ in cui Gabriel Byrne ha fatto una breve apparizione. Anche Pete Postlethwaite viene identificato col suo nome (oggi forse ne saremmo sorpresi ma nel 1993 l’attore inglese era stato co-protagonista di Nel nome del padre di Jim Sheridan, che in Irlanda aveva avuto un forte impatto), mentre James Baldwin è «Alec Baldwin’s brother» e Kevin Spacey (il cui volto sul poster risulta coperto dall’adesivo “Showing Tonight”) il «fella with the bad leg».
Una circostanza sfortunata, ma non atipica per una città come Derry, impedisce alla famiglia di vedere la fine del film, così la domanda che regge tutta la storia dei Soliti sospetti resta senza risposta e per Mary diventa un’ossessione: chi è Keyser Söze? Un riuscito spunto comico che è anche una lode alla forza del cinema come esperienza vivida e autenticamente divertente, cioè capace di allontanare il pensiero dalla fatica di vivere e risvegliare l’immaginazione.
— Valentina Alfonsi