Nel programma di cortometraggi proposto quest’anno dall’IRISH FILM FESTA (venerdì 29 marzo, dalle 18.30) c’è anche – in anteprima assoluta – Bog Graffiti, un film sperimentale girato e autoprodotto «nel suo bog» in Connemara dal veterano Bob Quinn.
Nato a Dublino nel 1935, Bob Quinn è una figura di fondamentale importanza nella storia del cinema irlandese: profondamente legato al Connemara e alla lingua gaelica, è stato fra i fondatori del Galway Film Fleadh e ha sempre lavorato da cineasta indipendente, realizzando film di finzione e documentari provocatori tanto nella forma quanto nei contenuti. Nel 2014 IFF ha proiettato come Irish Classic il suo documentario in tre parti Atlantean (1984), che rivisitava la mitologia celtica ipotizzando per gli irlandesi ascendenze arabe e nordafricane.
Cos’è il “cinema sperimentale”?
Bog Graffiti, che IFF presenta fuori concorso, non mette in scena un racconto di finzione, ma anche chiamarlo documentario sarebbe poco corretto: Bog Graffiti è un film che utilizza un tipo particolare di linguaggio cinematografico, definito convenzionalmente sperimentale, per tradurre una serie di riflessioni e suggestioni in accostamenti di immagini. Un piccolo saggio nel quale il ragionamento viene espresso non con parole e sintassi ma con inquadrature e montaggio: ogni inquadratura acquista senso attraverso il rapporto di analogia o contrasto che stabilisce con le inquadrature che la precedono e con quelle che la seguono.
Bog Graffiti di Bob Quinn: la follia dell’uomo e la bellezza della natura
Nel caso di Bog Graffiti, oggetto della riflessione è il rapporto tra l’essere umano e l’ambiente naturale, un rapporto la cui degenerazione ha provocato un cambiamento climatico sempre più evidente. Il film mostra come l’esistenza dell’uomo sia insignificante di fronte alla storia del mondo in termini cronologici (una delle prime immagini è quella di un cimitero sul mare: gli uomini muoiono, la terra e l’acqua restano), ma devastante in termini pratici, perché l’uomo è mosso dalla volontà di possesso e dal desiderio di lasciare un segno, sia in modo creativo e positivo (la rappresentazione artistica dei graffiti e delle sculture in legno, comunque inferiore a ciò che la natura è in grado di creare da sé, dai fiori alla forma delle nuvole e delle ragnatele), sia distruttivo (l’inquinamento, gli allevamenti intensivi).
«Dipingere immagini su rocce di granito nel paesaggio umido del Connemara sembrerebbe una follia – dice Bob Quinn – È sciocco anche piantare alberelli sullo stesso paesaggio paludoso – sono passati quattromila anni da quando questi luoghi erano completamente coperti di alberi. E così anche dare al legno la forma di figure grottesche dovrebbe essere considerata una cattiva pratica. O forse è una parabola? Come uomini, facciamo parte del ciclo del mondo naturale. Bog Graffiti coglie la bellezza passeggera del nostro piccolo pianeta prima della sua distruzione».
Il cambiamento climatico: siamo “topi su una barchetta di formaggio”
Bob Quinn approfondisce anche la questione del cambiamento climatico: «La nostra specie spesso confonde il tempo atmosferico con il clima: noi esseri umani non causiamo direttamente i disastri meteorologici, ma li acceleriamo e ne aumentiamo la frequenza.
Cambiamenti inaspettati sono la conseguenza di un progresso non regolato: le nostre automobili, gli aerei che prendiamo per andare in vacanza, i nostri eccessi consumistici. Oggi il cambiamento climatico è, come la politica, una questione globale, ma le persone ne fanno esperienza in termini locali: una regione soffrirà per la siccità, in un’altra si verificherà uno tsunami, altrove ci saranno incendi boschivi, e così via. Disgrazie che capitano alla povera gente, lontano da noi. Non può succedere anche qui, vero?
Noi homo sapiens siamo tutti uguali, sette miliardi di individui, tutti sullo stesso piccolo pianeta, voraci e inconsapevoli come topi su una barchetta di formaggio».
Distance di Sharon Whooley: la distanza tra spazio e tempo
Insieme a Bog Graffiti, IFF propone fuori concorso un altro cortometraggio sperimentale: Distance di Sharon Whooley, che conosciamo già in veste di sceneggiatrice dei film Silence e Song of Granite diretti da Pat Collins.
Come il film di Bob Quinn, anche Distance ragiona su come lo scorrere del tempo venga vissuto in modo molto diverso dagli uomini e dalla natura: «Distance guarda le diverse dimensioni del tempo in un luogo specifico, Glenbride nella contea di Wicklow, da tre distinte prospettive: la memoria di una montagna, la memoria di una casa e il potente groviglio della memoria umana», spiega Sharon Whooley. Il corto è «parzialmente ispirato alle idee dello scrittrice e poetessa scozzese Nan Shepherd, che scriveva “Trent’anni nella vita di una montagna sono niente, solo un battito di ciglia”, e riecheggia anche le parole che James Joyce scrisse a margine dell’Ulisse: “places remember events”, i luoghi ricordano gli avvenimenti».