Paul McGuigan è il regista di Girona, uno dei cortometraggi in concorso all’edizione 2016 di Irish Film Festa.
Girona vede come protagonisti l’attore scozzese John Hannah (Quattro matrimoni e un funerale, La mummia) e l’attrice nordirlandese Séainín Brennan (The Fall).
In una lunga notte di tempesta, l’incontro con una donna misteriosa (Brennan) in uno strano hotel costringe un uomo solitario (Hannah) a fare i conti col proprio passato…
Dove è stato girato il corto?
In un hotel di lusso nel Cathedral Quarter di Belfast, un labirinto di strade e stradine laterali intorno alla cattedrale di Sant’Anna. Abbiamo girato nel giorno di San Patrizio, quando sapevamo che le strade sarebbero state affollate di gente in festa: in questo modo l’albergo sarebbe diventato un luogo etereo, fuori dal mondo. Non è stato facile trovare l’hotel adatto perché ci serviva una suite con stanze comunicanti, e soprattutto un’atmosfera che rispondesse alla nostra idea di messa in scena.
Come hai scelto John Hannah per il ruolo di Hart?
Non immaginavamo proprio di riuscire a coinvolgere un attore del calibro di John Hannah nel nostro progetto, dopotutto era solo un cortometraggio! Con il produttore, Eamonn Devlin, ho iniziato a stilare un elenco di possibili nomi, e ci siamo chiesti: in un mondo ideale, chi vorremmo per interpretare Hart? Ad entrambi è venuto in mente John Hannah, ma naturalmente l’abbiamo subito scartato perché ci sembrava impossibile.
Più tardi ci siamo messi in contatto con l’agente di un altro attore al quale eravamo interessati, casualmente si trattava della stessa agente di John Hannah e ci ha chiesto se poteva fargli avere la sceneggiatura. Il giorno dopo John mi ha telefonato per dirmi che copione e personaggio gli erano piaciuti moltissimo, ed era davvero interessato a quella parte. È venuto a Belfast per quattro giorni e si è rivelato fantastico, generoso, colto e, cosa più importante, molto divertente («great craic», ndr).
Da regista, sei particolarmente attento ai dettagli: come hai lavorato sull’aspetto visivo della storia?
Il film è piuttosto claustrofobico, dal momento che è ambientato in una stanza di hotel: ogni movimento di macchina diventa un lusso, e ogni dettaglio rivela così qualcosa dei personaggi e della storia. Hart bada alla sostanza: ecco quindi il vecchio rolex del padre che porta con fierezza al polso, il rasoio d’argento che manda riflessi di luce nel bagno buio in cui si rade e che con il suo suono affilato rompe il silenzio.
Il film è costruito in modo simmetrico e, come dice il terzo principio di Newton, ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria: Sophie si trucca, Hart si rade allo specchio; Sophie si infila le calze, Hart si sistema le bretelle. È la grande legge del karma che influenza profondamente la loro esistenza: causa ed effetto, azione e reazione.
La scelta delle inquadrature segue i principi di simmetria ed equilibrio, yin e yang. Ho privilegiato le inquadrature lunghe, per consentire agli attori di esplorare i propri personaggi, e i movimenti di macchina piuttosto che i tagli. I primi piani servono per enfatizzare certi passaggi. A volte le ombre precedono i personaggi, e i personaggi si muovono in squarci di luce, all’interno di spazi bui che rappresentano l’oscurità delle loro vite.
Ho tratto ispirazione da grandi film ambientati in spazi chiusi, penso ad esempio all’Overlook Hotel di Shining, poi L’anno scorso a Marienbad di Alain Resnais e Hotel Chevalier di Wes Anderson. I personaggi sono strettamente legati all’ambientazione, gli uni non potrebbero esistere senza l’altra – era molto importante rendere evidente questo aspetto.